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In una sua celebre espressione Wittgenstein afferma che “il linguaggio può dire solo ciò che possiamo figurarci anche altrimenti”.
Cos’è questo altri-menti?
A quali “altre menti figurabili” allude il filosofo? Potremmo azzardare che questo intrigante avverbio faccia riferimento alle memorie (mens) delle forme espressive che l’essere umano, dal suo primitivo (stuporoso, terrificante, vertiginoso) comparire sulla terra fino ad oggi, ha inventato per orientarsi nel mondo andando a costituire una riserva inesauribile di simboli.
Nell’incontro relazionale tra paziente e terapeuta il linguaggio non coincide semplicemente con lo scambio di informazioni e la comunicazione non segue le logiche serrate del principio di non contraddizione ma si dilata aprendosi ad una molteplicità di forme espressive (gesti, silenzi, metafore, sogni) capaci di mostrare l’infinita ambiguità delle immagini simboliche senza dire univocamente del loro significato.
La centralità della componente simbolica e non semplicemente segnica nello scambio dialogico dispone quel terreno creativo che può consentire tras-formazioni esistenziali. Per l’antropogruppoanalisi il linguaggio della cura non in-forma ma forma nel senso del dar forma al mondo, tras-formandolo: qui analista e paziente transitano insieme attraverso le forme possibili dell’esserci.
Il ciclo d’incontri seminariali che proponiamo per l’anno 2019 guarda al linguaggio della cura e al modo in cui esso si rende figurabile nel transitare attraverso diverse forme espressive, dai codici linguistici al linguaggio incarnato, dalle esemplificazioni cliniche al confronto di gruppo, e si anima della tensione ermeneutica a rendere esprimibile l’altri-menti… l’ulteriorità di senso rintracciabile nei silenzi, nei segreti, nelle intime memorie, nei sogni, nel trascendersi dell’uomo nel suo incontro con il mistero della coscienza.
SGAI Nazionale: http://www.sgai.it/news/view/89/il-linguaggio-della-cura