Elogio al fra-intendimento
Quel che si è impresso in noi apre e limita il nostro orizzonte.
Ma è solo per il fatto che abbiamo un orizzonte
che ci può capitare qualcosa che lo allarghi.
Hans-Georg Gadamer
E’ consuetudine utilizzare il termine fraintendimento per riferirsi ad un errore di comprensione, un difetto di comunicazione o di ascolto che fa deviare il contenuto dall’iniziale intendimento dell’autore.
Nella prassi quotidiana accade spesso che gli interlocutori, colti dall’imbarazzo di ritrovarsi con contenuti non pre-visti, si affrettino a correggersi, asciugando le sbavature di senso che quel fra-intendimento aveva lasciato scivolare sul tavolo dialogico per riassestarsi, più comodamente, sulle intenzioni originarie dell’incontro comunicativo.
A volte però, se si resiste alla tentazione di spegnere prontamente quel dis-agio del non essersi compresi.
Può accadere che quel mancato accordo divenga un’occasione per cogliere nei fraintendimenti gli intendimenti-fra: messaggi fra le righe, pensieri randagi, anfratti di ulteriorità che si dispongono come orli smerlati del reale da cui possono affiorare altri significati.
Aperture, fori, parole bizzarre, figlie di emozioni imbizzarrite che lasciano trapelare tanto la presenza (di cui a volte siamo dimentichi) quanto la precarietà delle redini attraverso le quali imbrigliamo la nostra visione di mondo (Jaspers, 1919).
Il valore degli intendimenti-fra sta nel ridestarci dall’assolutezza dei nostri propositi cognitivi squilibrando il baricentro del nostro pensare e spingendoci a gravitare su un intendimento Altro così da rivelare il carattere molteplice del dialogo e il suo potenziale ermeneutico.
Se pensiamo al significato etimologico del termine intendimento, per l’appunto “tendere verso”,“volgere verso un termine”, si può cogliere quanto esso faccia riferimento ad una possibile direzionalità indicata dall’autore dell’enunciato ma non alla molteplicità delle direzioni possibili che quello stesso enunciato può dischiudere.
Pertanto, ci intendiamo quando tendiamolo sguardo nella stessa direzione e ci fraintendiamo quando, come fossimo strabici, guardiamo il mondo da angolature diverse e attraverso questa dif-ferenza possiamo intrattenerci in quel frale cose del mondo, nel frammezzoper dirla con Heidegger (1950), in cui ha dimora il simbolo.
Galimberti (2012, p. 259) a proposito del simbolico scrive:
“Il linguaggio simbolico non espone all’apertura ma apre l’apertura. L’apertura dischiusa nel linguaggio simbolico non è arbitraria, perché la nuova fondazione è anche riconoscimento di un fondo che sta alla base della fondazione stessa. Il simbolo, allora non fonda arbitrariamente, ma risponde a quel fondo da cui nasce; quando nomina nuovi sensi, in realtà risponde al loro appello.”
Da questo punto di vista i fraintendimenti non sarebbero produzioni arbitrarie né totalmente prive di una connessione con lo sfondo da cui affiorano ma ne sarebbero letteralmente il suo sfondamento.
Pensieri che trapanano un fondo compatto, scoperchiandone l’abisso, facendo sentire il brivido della sua verticalità e rivelando la situazionalità della nostra visione di mondo.
I fraintendimenti sono la cifra di una frattura che, se per la previsionalità del linguaggio razionale, sarebbe rumore da mettere a tacere, per il linguaggio simbolico è voragine aperta su quel fondoda cui tutto nasce.